lunedì 27 febbraio 2017

Imparare ad essere flessibili

Stamattina mi trovavo al parco vicino a casa con un gruppo di ragazze, una delle quali al termine della gravidanza.
Si parlava del sonno dei bambini e di altri argomenti, e ogni mamma presente riferiva la sua esperienza.
La futura mamma sentenziava, convinta, le sue intenzioni: "Mio figlio dormirà da solo" "Mio figlio farà questo"
"Mio figlio farà quell'altro".
Io ascoltavo, in silenzio, e dentro di me ripensavo a quando anche io avevo le idee chiare su cosa avrei fatto con il bimbo.
Poi è nato Alessandro, e mi sono accorta che mi era sfuggito un piccolo particolare: come fare a ottenere quello che volevo da mio figlio.
Al di là dei metodi e delle convinzioni personali credo che sia questa la vera sfida da porsi, perchè ogni futura mamma dimentica una cosa, quando fa questi ragionamenti: il bambino.
Che non è una bambolina di pezza pronta a fare tutto quello che vogliamo noi, ma che ha un suo carattere, un suo temperamento, e sa molto meglio di noi cosa vuole e cosa non vuole.
Molte persone si congratulano con me per il fatto che Alessandro, dall'età di 6 mesi, dorme da solo nella sua cameretta. La verità è che io non ho fatto proprio nulla, se non proporgli una soluzione che a lui è andata bene, e che quindi ha accettato senza sforzi.
Ma se invece lui non avesse voluto stare in cameretta da solo?
Fino a dove mi sarei spinta per fargli accettare la cosa?
Lasciarlo piangere? Se si, quanto? Pochi minuti? E se non basta? Alzare la voce? Sgridarlo? Lasciaro solo?
Il punto sta proprio qui: non è tanto quello che si vuole, ma quanto siamo disposte a spingerci per ottenerlo. E a che prezzo.
Nel mio caso, lo dico molto chiaramente, non avrei accettato nessun metodo basato sul lasciar piangere il bambino per forzarlo ad andare nella direzione che volevo io.
Sicuramente avrei provato in vari modi a farlo abituare, ma se lui non avesse ceduto sarei tornata sui miei passi.
E non perchè io sia una persona debole e poco determinata, tutt'altro.
Ma la lezione più importante che la maternità mi ha insegnato (e mi sta ancora insegnando!) è l'importanza di essere flessibili.
Essere genitori, secondo me, comporta confrontasi ogni giorno con la realtà, cercare mille modi per mediare tra quello che vorremmo e quello che abbiamo, tra il bambino immaginario che ci siamo create nella nostra mente e il bambino reale che abbiamo di fronte.
Ci sono, certo, questioni relative alla salute e alla sicurezza sulle quali non si può prescindere, ma per tutto il resto la maternità non è una coreografia già scritta, ma una danza libera, in cui si cerca di trovare il ritmo giusto per ballare insieme, in armonia.
Ci sono giorni in cui siamo brutti e scoordinati, ma quando riusciamo a trovare insieme il nostro passo, allora siamo amore puro.

martedì 21 febbraio 2017

Outdoor Education

La bella stagione è finalmente alle porte: queste giornate piene di sole fanno venir voglia a tutti di uscire, e di far respirare aria nuova ai nostri bimbi.
E se invece domani il cielo fosse nuvoloso? E se le temperature si abbassassero di nuovo?
Beh allora non si portano i bambini fuori, che poi si ammalano. Molto meglio tenerli al chiuso, magari in qualche centro commerciale, così almeno stanno al caldo.
Questi sono i discorsi che sento, quasi quotidianamente, dalle mamme e nonne intorno a me.
Tenere i bambini all'aria aperta, portarli a fare un giretto o a giocare al parco è percepita come un'attività extra, da fare solo in determinate condizioni metereologiche e di salute, e di cui i bambini possono benissimo fare a meno.
E considerato che abitiamo in Lombardia, e non ai Caraibi, seguendo questo ragionamento le giornate "buone" per portar fuori mio figlio sarebbero davvero poche.(Quando non fa freddo, non c'è umidità, ma non fa troppo caldo! Praticamente mai!!)
Io non la penso così.
Abbiamo degli amici che abitano in Svezia, in una meravigliosa regione selvaggia, e in passato siamo andati a trovarli sia in estate che in inverno. Ho visto i loro bimbi giocare all'aperto con qualsiasi condizione metereologica: con la neve e -20° gradi, con la pioggerellina, in mezzo al fango.
Di fronte al mio stupore la mia amica mi ha riferito un famoso proverbio nordico:"Non esiste il cattivo tempo, esistono solo i vestiti sbagliati".
Mi ha raccontato che i neonati vengono sovente messi a dormire all'aperto, adeguatamente coperti, anche con il freddo.
Che all'asilo e a scuola ogni giorno sono previsti dei momenti di gioco all'aperto, a prescindere dalle condizioni meteo: i bambini vengono preparati con gli abiti adatti prima di uscire, e cambiati con abiti caldi e asciutti al rientro dal gioco.
Questo perchè l'outdoor education fa parte della tradizione dei paesi nord europei, che riconoscono il valore pedagocico del gioco all'aria aperta.
Ho letto recentemente su una rivista *che proprio l'outdoor education sta prendendo piede anche in Italia.

"E'un'ovvietà che i bambini abbiano bisogno di stare all'aperto, ma negli ultimi trent'anni le condizioni di vita sono talmente cambiate da renderlo sempre più complicato, e oggi ci accorgiamo dei danni che sta provocando"
come sostiene Roberto Farnè, vicedirettore del dipartimento di Scienze per la qualità della vita dell'Università di Bologna.
L'articolo cita infatti i danni provocati dal "deficit di natura": problemi psicomotori, della vista, deficit dell'attenzione e iperattività.
I timori che i bambini si ammalino, che si facciano male e respirino aria inquinata sono chiaramente smentiti da tutte le ricerche: è proprio la frequentazione di luoghi chiusi, come supermercati e centri commerciali, a portare il maggior rischio di diffusione di malattie, ed è proprio la scarsa abitudine a correre, arrampicarsi,e perchè no, anche cadere, a portare i bambini ad essere scoordinati e a farsi male.
Sarebbe bello che anche da noi ci si abituasse a portare i bambini all'aperto ogni giorno, per lasciarli liberi di correre, di esplorare e di testare i propri limiti.
E, già che ci siamo, quando sono nella natura lasciamoli fare: i vestitini macchiati si lavano, le manine sporche si puliscono, ma il loro sorriso mentre corrono spensierati o scoprono un nuovo insetto resterà sempre nei nostri cuori,
e nei loro.

* "Io e il mio bambino" di febbraio.



giovedì 16 febbraio 2017

Libro tattile fai da te

Non sono molto portata per il cucito,e in generale non sono un mostro nella abilità manuali.
Ma Alessandro ha una vera passione per perline e bottoni: ogni volta che vede da qualche parte un bottone inizia a studiarlo con interesse (e a mangiarlo!) ,e impazzisce per le camicette decorate delle nonne!
Quindi ho deciso di cimentarmi nella realizzazione di un piccolo libretto tattile per lui.


Non è assolutamente perfetto, ma a lui piace tanto e questo basta per farne un capolavoro!

lunedì 13 febbraio 2017

Troppo zucchero negli alimenti per bambini?

E'ormai largamente risaputo quanto lo zucchero, soprattutto quello bianco e raffinato, sia dannoso per la salute.
Numerose ricerche provano ormai in maniera inconfutabile il legame tra zuccheri e sviluppo di cellule tumorali, oltre ad essere il principale responsabile di diabete, sindrome metabolica e ipertensione .
E se per noi adulti il consumo giornaliero andrebbe drasticamente ridotto, è parere comune di tutti i pediatri che i bambini al di sotto dei due anni dovrebbero evitare di assumere zuccheri.
Ma di quali zuccheri stiamo parlando?
Ci sono gli zuccheri naturalmente presenti negli alimenti, come nella frutta, nei cereali e nel latte.
Ci sono poi gli zuccheri aggiunti, che, come dice la parola stessa, sono zuccheri che vengono addizionati ai dolci, ai succhi di frutta, alle bibite gassate, e a molti cibi confezionati.
Sono questi ultimi, ovviamente, ad essere dannosi per i bimbi, i quali, assorbendo già gli zuccheri contenuti naturalmente nella frutta e nel latte, non hanno bisogno di ulteriori fonti caloriche.
Anzi, oltre ai rischi per la salute sopra citati, con un'assunzione costante di cibi innaturalmente dolci si rischia di abituare i bambini a questo tipo di sapori, e di farne quindi futuri consumatori fidelizzati di merendine e caramelle.
Eppure, se date un'occhiata alle etichette di molti dei prodotti per neonati scoprirete che queste regole apparentemente condivise sono in realta ignorate dai produttori di alimenti per l' infanzia.
Ecco per esempio il contenuto di alcuni alimemti che molti dei nostri bambini consumano quotidianamente:
  • Biscotto granulare: lo zucchero e al secondo posto tra gli ingredienti (al terzo c'è l'olio di palma 😡) al quarto posto troviamo il malto d'orzo, un dolcificante naturale che aiuta la lievitazione, e che da solo basterebbe probabilmente a conferire al biscotto il gusto dolce;
  • Le merende al latte: anche in questo caso lo zucchero è il secondo ingrediente. Su 100 gr di prodotto, ossia un vasetto, come riportato nella tabella nutrizionale, gli zuccheri sono 14 grammi.
  • Camomilla solubile: destrosio, saccarosio, estratto di erbe ( di cui la camomilla rappresenta solo 1,5%). Se leggiamo la tabella nutrizionale scopriamo infatti che su 100 gr di prodotto lo zucchero è 89,4 gr. Tanto vale dare al bambino acqua e zucchero. Che per altro non mi risulta faccia dormire.
Anche in questo caso, come per il latte in polvere , ci si aspetterebbe che le case produttrici che si occupano in modo specifico di prodotti per l'infanzia seguano almeno le regole basilari della coretta alimentazione dei bambini.
E anche in questo caso solo noi consumatori, con le nostre scelte, possiamo davvero orientare il mercato.


giovedì 9 febbraio 2017

Come il Buddismo mi ha cambiato la vita

Sono nata portandomi sulle spalle una sacca piena di nodi da sciogliere.
Nonostante non abbia avuto un infanzia infelice, e non mi sia successo niente di particolarmente drammatico, ho sempre portato addosso una forte inquietudine.
Sono stata una bambina ansiosa, solitaria e iper sensibile.
Esistenzialista, oserei dire: ho tenuto svegli varie notti i miei genitori con questioni di cui non riuscivo a liberarmi, come il senso della vita, del dolore e della morte.
Avevo periodi sereni e periodi in cui una nuvola nera si avvicinava alla mia testa e mi scaricava addosso un'ondata di ansia e paura che non sapevo da dove venissero, e che mi paralizzavano.
Mi ricordo di aver pregato Dio perché diluisse tutta quella sofferenza un pochino ogni giorno, invece che concentrarla in quei periodi difficilissimi.
Le mie preghiere sono state esaudite. Crescendo questo malessere si è un pochino mitigato, ma io continuavo a sentirmi sbagliata. Nessuna delle persone vicine a me, per quanto ci provassero, riusciva ad aiutarmi. Non ne avevano la capacità.
Ricordo di essermi rivolta ad uno psicologo, che aveva tenuto un incontro nella mia scuola media, dicendogli che provavo una forte inquietudine che non sapevo gestire: mi ha mi ha risposto che non mi mancava niente che avrei dovuto pensare alle persone più sfortunate di me e smetterla di torturarmi con inutili seghe mentali   ( non erano queste le parole ma il senso era quello).
Ed era quello pensavano tutti: non ti manca niente, perchè sei triste?
La mia famiglia è cattolica, e io sono stata cresciuta secondo i  principi della Chiesa , facendo il classico cammino dei sacramenti e andando a messa ogni domenica.
La religione era qualcosa che faceva parte della vita della mia famiglia, come andare a fare la spesa, ma non ho mai trovato in essa nessun tipo di conforto o ispirazione.
La spiritualità che sentivo dentro non mi sembrava per nulla collegata alla religione che mi avevano insegnato. Poi un giorno, all'Università, studiando Storia del giornalismo, mi è capitato tra le mani un libro di Tiziano Terzani, " Un altro giro di giostra".
Non so cosa mi abbia spinto verso quel libro, ma l'ho comprato subito.
E, quando, qualche mese dopo, mi sono decisa a leggerlo, mi si è aperto un mondo.
E'stato come respirare dopo una lunga apnea.
La spiritualità che sentivo era proprio quella descritta in quel libro. Un sacco di cose completamente nuove e allo stesso tempo cosi famigliari per me erano racchiuse in quelle pagine magiche.

   " Fai della sofferenza la tua medicina
    e non aspettarti una strada senza ostacoli
    senza quel fuoco la tua luce si spagnerebbe.
    Usa la tempesta per liberarti "

Questa filosofia buddista.. cosa era?? Era proprio quello che cercavo.
Ho iniziato a leggere libri sul buddismo, e da allora, dopo più di 10 anni, continuo a leggere e a documentarmi su questa filosofia meravigliosa. Senza rinnegare le mie radici cristiane, senza andare in giro salutando gli altri dicendo "Namaste", ma accostandomi con umiltà a questa saggezza millenaria che tanto ha da insegnarmi.
Una delle vere rivelazioni per me è stata questa: tu non si le tue emozioni. Non sei la tua mente.
Le emozioni vanno vissute e accettate, ma evitando di identificarsi in loro.
Questo concetto, semplice ma del tutto nuovo, mi ha permesso di fare un passo indietro, guardare la mia ansia, le mie paure e la mia sofferenza  come qualcosa che faceva parte di me ma su cui io potevo agire.
Sentendomi un albero, che oscilla quando c'è la tempesta ma non viene sradicato, invece che una foglia continuamente trasportata a destra e sinistra dal vento.
Il cammino di guarigione e crescita che sto percorrendo è ancora molto lungo, il viaggio è appena iniziato.
Ma ora so in che direzione voglio andare, e ho gli strumenti per farlo.

venerdì 3 febbraio 2017

La mia esperienza con l'allattamento - 2° Parte

Dopo qualche settimana di questo andazzo (poppata + preparazione random di biberon, quasi sempre non bevuto dal bimbo), una mia amica mi ha consigliato un consultorio sull'allattamento.
Altra brutta esperienza: la ostetriche del consultorio mi hanno trattato come se fossi una demente, e come se volessi affamare mio figlio:
"Signora, ma ogni quanto lo attacca?"
"Ogni volta che si sveglia e ha fame, ogni 2 ore circa"
"Ma nooo signora!!Lo deve allattare più spesso, ogni ora anche! Se non si sveglia, lo svegli! Il bambino deve stare costantemente attaccato al seno della mamma!"
"Anche di notte??"
"Soprattutto di notte! Dovrebbe dormire con il bambino in braccio, in modo da tenerlo sempre attaccato!"
Quando ho detto che Alessandro non voleva dormire in braccio, che da quando era nato (e tutt'ora) quando ha sonno si accoccola in braccio, ma quando è pronto a dormire si divincola per essere messo giù mi hanno dato della pazza: le parole esatte sono state "Signora, lei vede solo quello che vuole vedere".
Per non parlare di quando ho provato a svegliarlo mentre dormiva per provare a dargli da mangiare...è venuta giù la casa!
Sono uscita dal consultorio sentendomi più sola e confusa di prima.
Nel frattempo a casa ero circondata da gente prodiga di consigli (non richiesti!):
"Attaccalo a tutti e due i seni ad ogni poppata"
"Attaccalo solo ad un seno"
"Non attaccarlo di notte, deve imparare a saltare il pasto notturno!" ecc.ecc
Se ci ripenso mi vedo avvolta in una nuvola nera di confusione e incertezza.
Sono stati giorni duri..non sapevo cosa fare, il seno mi faceva male per le ragadi causate dai paracapezzoli, ma se li toglievo Ale non si attaccava. Volevo a tutti i costi allattarlo, ma avevo davvero paura che il mio latte non bastasse.
Ma ho trovato la forza di ascoltare me stessa e il mio bambino. E siamo andati avanti con l'allattamento, senza aggiunta, fino ai 3 mesi.
Una sera, d'improvviso, Ale ha iniziato ad urlare fortissimo appena lo avvicinavo al seno: aveva fame, ma sembrava non volersi attaccare. E non voleva nemmeno il latte in polvere.
Ne ho parlato con la pediatra: sentivo che qualcosa non andava, ma lei non mi ha creduto.
Sosteneva che se il bimbo non si attaccava non aveva fame.
Avendo altri casi di reflusso gastroesofageo in famiglia, le ho detto che secondo me era quello. "Assolutamente no, è lei che deve darsi una calmata".
Dopo qualche giorno sono tornata da lei con un video che mostrava Alessandro che urlava come un matto ogni volta che lo attaccavo, si divicolava, si inarcava all'indietro, mi graffiava tutto il seno.
Allora, e solo allora, mi ha dato ragione. A qual punto però era troppo tardi. Il bimbo, oltre al reflusso, aveva sviluppato l'esofagite, per cui ogni volta che lo attaccavo gridava dal bruciore.
Ed era calato di peso.
Per farlo aumentare velocemente, e farlo mangiare in una posizione che lo tenesse dritto,in modo da non far risalire l'acido, siamo tornati al biberon. Prima con il mio latte, tirato per ore con il tiralatte, poi, man mano che il mio latte si esauriva, siamo passati definitivamente alla formula.
Questo con mia grandissima sofferenza e rabbia.
Sono certa che se non avessi ascoltato NESSUNA delle persone alle quali mi sono rivolta ma solo me stessa, o se almeno loro avessero provato ad ascoltare me e il mio bambino, le cose sarebbero andate diversamente.
Ho pianto tanto per il fatto di non attaccare più Ale: nonostante le difficoltà e il dolore, era un momento intimo e meraviglioso, solo nostro. L'unico momento che, in quei primi giorni, mi faceva sentire davvero mamma.
Sapete quante delle ragazze che erano al corso pre parto con me allattavano ancora alla fine del primo mese? Due su dieci. Tutte le altre, come me, erano andate incontro a problemi vari che non erano riuscite a risolvere.
E sono sicura che con un po'di sostegno e competenza in più molte di loro, di noi, avrebbero potuto continuare.
Guardo con invidia chi allatta con gioia, e sostengo chi promuove l'allattamento.
Ma quello che le mamme non dicono è che è per molte un percorso duro, in salita, e se non c'è nessuno che ti mostra la via è facile perdersi.



La mia esperienza con l'allattamento- 1° Parte

Dato che nell'ultimo post ho parlato del latte in polvere, e del fatto che abbiamo dovuto ricorrere a lui molto presto, volevo raccontarvi la mia esperienza con l'allattamento.
Dopo poche ore dalla nascita di Alessandro, nonostante non potessi muovermi per la ferita del cesareo, ho chiesto all'ostetrica di aiutarmi ad attaccare il bimbo al seno.
Abbiamo provato e riprovato, ma il mio fagiolino sembrava avere difficoltà ad attaccarsi, forse a causa della conformazione dei mie capezzoli.
Non avevo ancora il latte, e il bimbo era stanco dal parto, quindi quel primo giorno è stata più una coccola che un vero tentativo.
Il giorno dopo il parto mi sono alzata con le tette di marmo, e la camicia da notte bagnata: la montata lattea era arrivata! Io ero feliccissima, e non vedevo l'ora di attaccare Ale.
Ma anche quel giorno non è stato facile..il bimbo faceva fatica ad attaccarsi, e avendo io creato un figlio totalmente privo di pazienza, si incazzava tantissimo per la fame. La mia stanza era in fondo al corridoio, e mi ricordo che le ostetriche, dal nido, arrivavano dicendo "Ma chi è che urla così??"
Abbiamo provato con i paracapezzoli, e finalmente ha funzionato.

                                                     Questi siamo noi, ai primi tentativi
 
Sono stata dimessa dall'ospedale con un allattamento ben avviato, seppur con gli odiosi paracapezzoli.
Alla prima visita di controllo all'ospedale mi dicono invece che il bimbo non è cresciuto abbastanza.
Ogni mamma sa quanto queste parole facciano paura. Se aggiungete gli ormoni ballerini del post parto e la convalescenza dal cesareo capirete che è stato uno shock.
Ma come? Lo stavo allattando regolarmente, il bambino era tranquillo e bagnava un buon numero di pannolini!
La pediatra ci dice di ritornare il giorno dopo per ripesarlo..e la diagnosi è confermata: il bambino cresce poco. "Signora, gli deve dare l'aggiunta".
Siamo tornati a casa con il latte in polvere, che avremmo dovuto usare dopo ogni poppata. Non capivo..il bambino finito di poppare mi sembrava soddisfatto! Però la paura che non crescesse abbastanza e che il mio latte non gli bastasse si era ormai insinuata nel mio cervello e in quello del mio compagno.
Quella paura, e la confusione totale del momento, mi hanno fatto dimenticare quello che avevo letto qualche settimana prima: ossia che i bambini non crescono in modo uguale tutte le settimane. Alcune settimane prenderà 200 gr, altre 50.
Ma forse questo era sfuggito anche alla pediatra.